Proprio oggi mi stavo facendo delle domande riguardo al tipo di storie che sto scrivendo per la mia serie Vittoriana, Victorian Horror Story . Dopo aver visto quel capolavoro che è Crimson Peak, (parlerò un’altra volta di quello che mi ha suggerito) mi chiedevo: Forse starò esagerando con lo splatter? Con i mostri? Troppa azione e poca descrizione? Poche pause? Sarò troppo trash?
A parte il fatto che non si è mai troppo trash per i miei gusti (Zombie Nation insegna), mi è tornato in mente Maniax, un libro Horror che ho letto qualche era geologica addietro, e mi sono detta… NAAAAAAH! Il troppo non è mai troppo!
Questo articolo è apparso il 25 Settembre 2015 sulla Rivista Fralerighe e lo ripropongo qui su Altro Blog in versione aggiornata.
JOE ARDEN CHI?
Negli anni ’90 avevo già iniziato ad appassionarmi d’illustrazione e avevo una fissa particolare per Paolo Parente che in quel periodo sfornava un sacco di progetti. Senza giri di parole dirò che compravo qualsiasi cosa su cui ci fosse il suo nome e in libreria trovai questo libro qui accanto.
Credo sia reperibile solo in versione cartacea, niente ebook. Su Amazon lo si trova qui http://amzn.to/1FnpY8k.
Storia Horror più copertina di Paolo Parente: non potevo che uscire con quel libro in tasca. Joe Arden? Boh? Ai tempi ero in fissa anche per Stephen King, magari era amico suo.
Probabilmente guardai solo di striscio la quarta di copertina, per cui quando iniziai a leggerlo non avevo idea di cosa parlasse, tranne che per il fatto che ci sarebbero stati mostri e sbudellamenti.
E L’ADRENALINA?
Più o meno la mia reazione a questa lettura è stata paragonabile a un giro sull’ottovolante, tipo l’Oblivion, una di quelle montagne russe di Gardaland. Anzi no, quello dura troppo poco e si patisce troppo tanto. È stato più come il Mammuth, una giostra spassosa con il giusto grado di adrenalina per farti divertire senza perdere anni di vita. Quando monti in carrozza non puoi fare altro che alzare le mani e metterti a urlare come un pazzo fino al momento di scendere, perché se non lo fai ti perdi la metà del divertimento.
Ecco, Maniax è puro spasso, e quando inizi a leggere non ti rimane che spengere il cervello e goderti la corsa.
Ti pare poco?
In seguito ho letto altri libri adrenalinici come questo, ma è stato Maniax mi ha fatto scoprire questo genere di scrittura che è mirata a far divertire a intrattenere nel modo più piacevole e ironico che mi fosse mai capitato. Anzi, a dirla tutta non so se mi sono divertita più io nel leggerlo o l’autore nello scriverlo. Ultimamente ho riletto alcuni pezzi e devo dire che a distanza di tanti anni mi sono accorta di tante piccole “strizzate d’occhio” che Joe Arden fa direttamente lettore.
Libri e adrenalina possono coesistere e Maniax è l’esempio. Non si tratta solo di trovarsi davanti scene orrorifiche, ma di coinvolgere il lettore con una prosa che fila via come un treno e tenerlo incollato a forza di azione e situazioni pazzesche.
LA STORIA
La storia, si svolge in una americanissima California, così finta ed esagerata da sembrare un fumetto. È proprio questo il mood giusto in cui calarsi per godersi l’avventura di David Post, lo scrittore in crisi (parodia di alcuni dei protagonisti di Stephen King), i figli amabilmente stereotipati e il resto della ghenga di smandrappati che si muove con loro.
Non voglio dilungarmi sulla trama che ovviamente è fittissima di inseguimenti, fughe, battute, omaggi al cinema anni ’80, zeppa di mostri e tanto splatter. Il fatto che l’azione inizi a riscaldare i motori a pagina 20 e poi inizi a correre dalla 50 fino alla fine di pagina 221 dovrebbe bastare.
A questo punto anche l’articolo ha bisogno di un colpo di scena ed eccolo qui, servito su un piatto d’argento.
PLOT TWIST!
Negli ultimi tempi stavo ripensando a quali siano stati i libri che più mi hanno colpita o influenzata e tra questi c’è anche Maniax di Joe Arden. Così, forte del fido Google, ho pensato di scoprire cosa ne fosse stato di lui in questi anni. Da brava esterofila m’immaginavo il buon Joe con una birra in mano e una tavola da surf sotto l’ascella, quindi si può immaginare la mia sorpresa quando ho scoperto invece che Joe… si chiama Giovanni, è un autore italiano ed ha una produzione letteraria vastissima e diversificata! Il che dimostra una volta di più che gli autori italiani di genere non hanno niente in meno di quelli stranieri.
INTERVISTA A JOE ARDEN – GIOVANNI ARDUINO
Mala Spina: Ho navigato un po’ sul tuo sito, ho visto che hai scritto veramente tantissime cose diverse e mi ha colpita il fatto che tu abbia usato anche altri pseudonimi oltre a Joe Arden! Alcuni palesemente finti come Budello Budelli. Mi racconti come mai la scelta di non usare il tuo nome?
Giovanni Arduino: E dire che quelli elencati sul sito non sono nemmeno tutti. Comunque, credo esistano varie ragioni. Il desiderio di stare un po’ in disparte, per esempio, lasciando parlare i libri. L’idea che morto uno pseudonimo se ne fa un altro e un altro e un altro ancora. L’adorazione per certi autori americani di narrativa popolare dalle mille identità. La necessità di differenziare in modo netto la mia vasta e variegata produzione. A ogni modo, per i miei ultimi lavori ho utilizzato Giovanni Arduino, quindi il viziaccio, a patto che tale sia, un pochino mi è passato.
Mala Spina: Mi hai detto che avevi scritto “Maniax” per divertirti. A chi ti sei ispirato? Cosa ti ha fatto scattare l’idea?
Giovanni Arduino: Dopo avere letto un orribile thriller che in America era stato acquistato per mezzo milione di dollari o giù di lì, mi sono detto, okay, tanto peggio di così non posso fare, mi butto. Ho steso una bella sinossina, l’ho presentata a Tiziano Barbieri della Sperling & Kupfer, per il quale lavoravo come giovanissimo editor della straniera, e lui ha accettato la mia proposta. Poi non ho assolutamente rispettato la sinossi e ho scritto tutt’altro (nelle notti di un mese molto concitato), ma solo perché un personaggio minore ha preso il sopravvento, diventando il protagonista. A dimostrazione che alla fine è la storia, e soltanto quella, a contare e comandare, ed eventuali piani esistono unicamente per non essere rispettati.
In quanto a ispirazione, di base Maniax è un film horror anni Ottanta messo su carta, stile Dimensione terrore di Fred Dekker (mio cult assoluto), con qualche influenza dei primi sparatutto in 3D come Doom o Rise of the Triad. Poi in realtà dentro c’è un sacco di roba, tutte le mie passioni dell’epoca o di sempre, compresi gli opposti più opposti, dallo skate punk alle commedie adolescenziali alla John Hughes, passando attraverso Dino Buzzati e gli hentai con il tentacle rape. È un romanzo zeppo di difetti, con i suoi anni sulle spalle (uscì nella primavera del 1994), ma dubito che annoi. Credo, o spero, si percepisca il divertimento che c’è dietro, in questa come in altre mie opere successive.
Mala Spina: Stavo pensando: Maniax è una specie di videogioco, prima di questo hai scritto libro gioco di Stephen King. Il gioco è ancora presente nella tua vita? Usi Joe per produzioni che in qualche maniera hanno a che fare con il gioco e il divertimento?
Giovanni Arduino: Il gioco è curiosità. Io sono molto curioso, forse fin troppo, quindi in un certo senso gioco sempre. Nella mia vita, e non solo in campo editoriale o strettamente lavorativo, ho fatto davvero di tutto, nel bene e nel male.
Joe Arden rispecchia questo mio lato, ma è anche la mia parte più dolente. O almeno lo era. E poi quando è stato pubblicato Maniax, si riteneva impensabile che un italiano potesse scrivere opere “di genere”. Il pubblico non lo accettava, semplicemente, dati di vendita alla mano. Lo pseudonimo era d’obbligo. Da allora la situazione è parecchio cambiata.
Mala Spina: Sempre dal tuo sito leggo che ti occupi molto di traduzioni e che sei specializzato in Stephen King (tra l’altro hai scritto pure il libro gioco). Quali sono le cose migliori che hai imparato da lui riguardo la scrittura?
Giovanni Arduino: “E’ il libro che comanda”, come scrive Stephen King in On Writing citando Alfred Bester. Ovvero la storia, come si diceva sopra, Un autore non può che esserne spettatore e trascriverla. Un altro insegnamento, anche ma non solo da King (da tanti romanzieri noir o hard boiled, per esempio): eliminare la fuffa, il di più, l’inutile, il superfluo. Se bastano tre parole, perché usarne il doppio?
E poi King alimenta la curiosità di cui si parlava prima, essendo pure lui curiosissimo. E per questo ultimamente, insieme alle traduzioni e alle mie classiche attività (compreso un nuovo romanzo, tempo permettendo), butto giù saggi (a quattro mani con la giornalista Loredana Lipperini), faccio lo script doctor, sforno sceneggiature cinematografiche… insomma, pasticcio e gioco e sperimento, lavorando come un matto e ammazzandomi di fatica. Però sempre gioco è.
Sarei curiosa di conoscere altri titoli di libri adrenalinici, non un semplice page-turner ma di quelli che sono veramente una corsa a rotta di collo, un susseguirsi continuo di situazioni che non ti consentono di staccare un attimo gli occhi dalla pagina.
Quindi tutti con le mani in alto che si parte!