Ammetto di aver sentito parlare di Planetary Romance solo di recente e nemmeno sapevo che esistesse una definizione così specifica! Sto parlando insomma di Fantascienza e di quel particolare ambito che è la Space Opera, caratterizzata da viaggi spaziali e da un’attenzione alla teconologia molto più easy rispetto alla Hard SciFi. Ecco, una sotto-categoria è proprio il Planetary Romance, ovvero un romanzo di fantascienza ambientato su pianeti alieni primitivi che a volte viene indicato anche come Sword and Planet (per contrapporsi a Sword and Sorcery) quando si vuole rafforzare il punto che gli scontri avvengono tutti all’arma bianca e che la tecnologia disponibile è quindi molto arretrata.
Flash Gordon qui accanto è Planetary Romance.
Il fatto che il termine Planetary Romance sia sconosciuto ai più, tranne agli appassionati di Fantascienza un po’ retrò, la dice lunga!
Insomma: no, non è un Rosa a livello planetario e nemmeno si tratta di fantascienza alla moda…
Quest’estate ho avuto un ritorno di fiamma della mia vecchia passione per questo tipo di fantascienza. Grazie a un trasloco-repulisti di garage, cantina e una casa abbandonata, ho ritrovato libri di cui non ricordavo l’esistenza. (Ho ritrovato anche la mia collezione di DVD di Jackie Chan ma lui non è oggetto di questo articolo ♥).
Chi si ricorda i 50 volumetti delle Mille Lire Newton? Ecco quelli. Ho deciso di rileggere i volumi che ricordavo mi fossero piaciuti di più e quelli che mi mancavano (ce ne sono anche alcuni di Tanith Lee che mi incuriosiscono).
Ammetto di non aver letto più niente di fantascienza da anni! È un po’ per questo che tutte le mie letture sono… chiamiamole molto elegantemente “datate” (in realtà intendo che sono vecchie come il cucco). Ma ok, mi sto attrezzando.
Vecchi amici e vecchi Planetary Romance
Più passa il tempo e più mi accorgo di essere sempre più selettiva nelle mie letture. Non riesco più a leggere una storia che non mi acchiappa totalmente fin nelle prime pagine e succede spesso che io mi riempia il kindle o compri libri che alla fine rimangono a fare le polvere. Succede anche però che una storia non mi dia tregua finchè non arrivo alla parola fine. Ormai le vie di mezzo sono sempre più rare. È un fenomeno curioso..
Il mio primo amore letterario è stata la fantascienza con Asimov, poi sono passata a letture più “di menare” alla John Carter di Marte.
John Carter di Marte
Credo che il primo vero libro di Planetary Romance sia stato John Carter di Marte di Edgar R. Burroughs. L’ho divorato proprio come è successo la prima volta e ancora mi sono stupita di come uno scrittore del 1912 abbia potuto creare una storia così scorrevole, diretta e appassionante. Non sono stata delusa da questa rilettura decisamente pulp che vince su parecchi romanzi molto più recenti e non dà tregua al lettore.
Ammetto che, alla fin fine, si tratta sempre di John Carter che lotta per la vita, poi cerca Dejah Thoris, poi lotta insieme a un alieno valoroso (aggiungiamoci poi che le eroine di Burroughs sono destinate a essere rapite più e più volte) e via in loop. Detto questo, bisogna dire però che Edgar R. Burroughs riesce a rendere l’azione e gli avvenimenti così immediati e concitati da non farti prendere fiato nemmeno per un attimo. Alcune soluzioni sono telefonate ma… ehi, se adesso appaiono scontate è perché qualcuno le ha usate per primo.
Si può trovare su Amazon la raccolta completa dei primi tre volumi editi da Newton https://amzn.to/2wpQXPa .
C’è stata una riduzione cinematografica di Sotto le lune di Marte a mio parere realizzata benissimo, ma purtroppo non ha avuto fortuna.
Non mi spiego ancora il perché di quel floppone! John Carter era reso bene, le ambientazioni e l’azione c’erano tutte, Dejah Thoris era stata attualizzata (oh, era troppo passiva nei romanzi!) ma non snaturata. Insomma: vattelappesca, io non lo so cosa vuole la gente. Non si può essere fedeli completamente a un testo che funziona sulla carta e portarlo assolutamente uguale sullo schermo.
È un film a cui va data un possibilità perché è una festa per gli occhi ed è davvero divertente.
So che la Dynamite ha ripreso di recente sia il personaggio di John Carter che Dejah Thoris per una serie a fumetti ma non ho mai avuto modo di sfogliarli. Invece sono convinta di aver letto una delle versioni fumettate a fine anni ’70 e mi ricordo che i disegni avessero un look molto retrò.
Insomma il punto è che John Carter mi perseguita da un bel po’ di tempo, però ho cercato di staccarmene e trovare dei sostituti. Alcune volte è andata benone e altre così e così.
Il pianeta Tschai
Per esempio ho provato con una saga che viene spesso paragonata a quella di Burroughs: Il Pianeta Tschai di Jack Vance (clik per Amazon).
A dire la verità ho trovato in questa serie i cliché e le critiche che sono state sempre mosse a John Carter, ovvero un protagonista piatto alla “so fare tutto io, sono il migliore” e avvenimenti ripetitivi. Purtroppo sono rimasta un po’ delusa, nonostante la storia avesse tutti gli elementi e le carte in regola per piacermi e un grande lavoro di worldbuilding fatto da Vance che ha ispirato illustrazioni (famose quelle di Caza) e opere a fumetti di grande impatto. Per dirla tutta: un filo noiosetto.
Credo però che tenterò di nuovo con i suoi romanzi brevi nella collana Mille lire.
Lo stregone di Gramarye e altri compari.
Di Cristhopher Stasheff e dello Stregone suo malgrado ne ho già parlato abbondantemente in un vecchio articolo e corrisponde anche questo ai canoni che mi piacciono in un romanzo di fantascienza: un protagonista del futuro che capita, volontariamente o meno, in un mondo del passato. Seguono avventure sul pianeta misterioso ed ecco servito un planetary romance. Fra parentesi ho iniziato la lettura del secondo volume in inglese e, manco a dirlo, vado molto a rilento.
Sempre su questa falsariga ho trovato Un mondo chiamato Camelot che, anche se cerca di avere una certa leggerezza e umorismo, non è riuscito a prendermi del tutto… forse per la difficoltà di arrivare al maledetto punto della questione e alle troppe e inutili disgressioni (sono i momenti in cui rimpiango il linguaggio diretto e senza mezzi termini di Burroughs).
Molto curioso invece Il pianeta stregato (uno dei fortunati ritrovamenti in garage) che si ribalta nella prospettiva dei poveri alieni che si ritrovano un viaggiatore spaziale nel proprio villaggio con un sacco di aggeggi tecnologici che scambiano per magia.
Il Planetary Romance secondo Altro Evo
Non si è ancora capito dove voglio andare parare?
In questi anni di scrittura ho subito una strana evoluzione, proprio come un pokemon, ma non so dove mi porterà. Ho iniziato a scrivere le Storie da un Altro Evo, che sono Fantasy o al massimo Sword and Sorcery, per poi passare a Victorian Horror Story, uno strano Urban Fantasy in epoca vittoriana e che mi ha fatto deviare per un certo periodo verso l’horror vero e proprio con il Mangia Peccati. Sempre da Victorian Horror Story è iniziata una sbandata Steampunk, con una nuova serie di cui ho finito il primo volumetto e da questa fantascienza alla Jules Verne è stato naturale passare al Planetary Romance. Lo considero una specie di ritorno alle origini.
Tutto ciò dove mi ha portato? A scrivere una mia versione di Planetary Romance ovviamente!
Avevo iniziato a modellare questa nuova storia fantascientifica l’anno scorso proprio d’estate. Infatti anche lo scorso Luglio/Agosto mi era tornata la fissa della SCIFI. Poi ho mollato per tutto l’inverno (infatti nel 2017 non ho pubblicato niente) e l’ho ripreso questo Giugno. Chi lo sa? Magari l’estate per me vuol dire fantascienza.
Come dicevo, avevo mollato quel raccontone fantascientifico per varie ragioni, ma quello che davvero mi ha dato il “via” per riprenderlo è stato questo fumetto qui accanto. Puri anni ’80 per una serie di mini storie nel mondo di Xenozoic, a metà tra SCIFI, avventura, mistero.
Così ho avuto l’illuminazione. Ecco cosa mancava alla mia storia…
DINOSAURI!
e comunque mi sono accorta che anche i Thundercats si sono infiltrati pesantemente in questa nuova avventura che pesca un po’ qua e un po’ là nelle suggestioni delle mie letture e visioni estive (tipo Fire and Ice per esempio). Allora eccomi alle prese con un nuovo progetto di nicchia, ma che dico… super-nicchia tanto per cambiare!
Che ci posso fare? Mi è venuto così. Tra l’altro è la storia singola più lunga che abbia mai scritto, sulle 70.000 parole!
Fra parentesi, il titolo provvisorio è “Sotto i soli di Gwalthur“. Chi ravvisa tutte le citazioni del titolo vince il premio Intelligentosauro 2018.
AGGIORNAMENTI 12/2020
Alla fine, dopo ben due anni, Sotto i Soli di Gwalthur è stato pubblicato da Plesio Editore , 264 Pagine e 16 illustrazioni interne!
Non mi toccare Tschai, che ho amato! Rimango in attesa di sotto il sole di coso, lì… 🙂
ma infatti mi leggerò senz’altro gli altri Vance delle Mille Lire!
Io e te leggiamo gli stessi libri e ci piacciono le stesse cose. Ti credevo una persona migliore 😀
separati alla nascita…
Bell’articolo. Vorrei solo fare un appunto su questa tua affermazione:
“…la Space Opera, caratterizzata da viaggi spaziali e da un’attenzione alla teconologia molto più easy rispetto alla Hard SciFi”.
Secondo me non è corretta questa distinzione. Ho letto ottima Space Opera fieramente “hard”, così come mi sono dovuto sciroppare della SF che si definifa Hard-Sf ma che invece non lo era.
Insomma, l’Hard-SF non è tale solo se rimane letteralmente coi piedi per Terra 🙂
Non essendo il mio genere di lettura prediletto, mi rifaccio paro-paro a wikipedia:
“Fantascienza Hard: è una categoria della fantascienza caratterizzata dall’enfasi per il dettaglio scientifico o tecnico, o per l’accuratezza scientifica, o da entrambi”. Poi si sa… qualsiasi categorizzazione si voglia fare, è un’impresa impossibile riuscire a comprendere ogni tipo di romanzo.
Visto che hai letto John Carter di Burroughs ti consiglierei anche Carson Napier nel ciclo di Venere sempre di Burroughs. Un po’meno figo di Carter, a me ė piaciuto molto